FLAVIA SCALAMBRETTI. La mia dimensione.

 

Quando hai iniziato ad appassionarti alla fotografia?

A quattordici anni volevo una macchina fotografica, e mio padre decise di comprarmi un'ibrida, così che io potessi iniziare a giocare con la regolazione dei tempi e l'apertura del diaframma ed avvicinarmi a qualcosa di più simile alla fotografia. La cosa mi incuriosì abbastanza da spingermi a cominciare a cercare dei lavoretti via via più impegnativi e risparmiare per acquistare una reflex. Raggiunta finalmente la somma necessaria, ho acquistato la Canon Eos 500D che mi accompagna tutt'ora.

Così giovane, ma già con le idee chiare…

Penso di aver trovato nella fotografia la mia dimensione. Mi rende soddisfatta di me stessa e mi stimola giorno per giorno, mantenendo il cervello acceso, sempre alla ricerca di spunti ed idee in ogni contesto possibile. Non sarei in grado di immaginare la mia vita senza la macchina fotografica, ormai è diventata un'intima necessità.

Libertà di scattare o progetti studiati?

Uno non esclude l'altro. È stimolante poter studiare un percorso visivo, nel suo complesso. La maggior parte delle fotografie che fanno parte di progetti studiati sono frutto di una costruzione, di una ricerca mirata dei soggetti. Questo è sicuramente l'aspetto migliore del progetto: si definisce da un'idea di partenza un risultato ultimo, e si lavora duramente per trovare la strada per raggiungerlo. Allo stesso tempo però, spesso la forza di uno scatto è proprio la capacità di cogliere il momento giusto. Per questo, anche se nei miei lavori non sono mancati progetti studiati, preferisco scattare e solo dopo ricollegare le mie fotografie in una raccolta. Un esempio è “Skate of Mind”, un reportage che racconta il legame instauratosi tra la mia macchina fotografica ed un gruppo di skater della provincia di Roma. L'amicizia che mi lega a loro mi ha portato a seguirli in diversi contesti: gare di skate, costruzione delle strutture, domeniche in giro per gli spot della capitale e non, pomeriggi di writing e bodywriting. Dopo 4 anni mi sono resa conto di avere abbastanza materiale da poter mettere insieme un reportage del loro ambiente. Probabilmente se avessi deciso di scattare quelle fotografie con questo fine, mi sarei preoccupata di costruire ed impostare diversamente le immagini e nell'insieme le foto avrebbero perso la naturalità che le caratterizza.

Quale attrezzatura usi? Analogica o digitale?

Un giorno un'amica di mia nonna, ex fotografa e maestra delle scuole elementari in pensione, è venuta a vedere le fotografie che avevo esposto per una mostra personale a Cerveteri. Qualche tempo più tardi mi ha invitato a casa sua per un caffè, e con mia grande sorpresa ha deciso di regalarmi la sua attrezzatura fotografica: una Yashica FX-3 Super 2000 con tanto di obiettivi. “Tanto non ci vedo più molto bene, e la messa a fuoco manuale mi rende impossibile fotografare. Mi piace come fotografi, preferisco che ci si diverta una giovane come te con questa macchina, piuttosto che resti qui ad impolverarsi!”. E’ stato un gesto che ho molto apprezzato, perché ho capito il valore intrinseco di quell'oggetto, e la volontà di tramandarlo. Per me è stato un grande onore riceve quel regalo, anzi approfitto dell'occasione per ringraziare Adele! Lo custodisco gelosamente in attesa che inizi il corso di fotografia a cui ho deciso di iscrivermi. Sono molto affascinata dalla pellicola. Per ora, non avendo le basi (e lo spazio fisico) per uno sviluppo in camera oscura, sono ancora costretta all'uso del digitale. Sicuramente però, per la versatilità dell'utilizzo e le ampie possibilità di post produzione che offrono le fotocamere reflex moderne, non credo che abbandonerò mai questo tipo di macchine fotografiche.

Bianconero o colore?

Dipende dal soggetto. In alcuni scatti spegnere il colore uccide completamente l'immagine, mentre in altri il b/w intensifica il soggetto. Ad esempio ho optato per il b/w in “Skate of Mind” per legare le immagini, scattate tutte in contesti e momenti differenti, e rendere il reportage nel suo complesso più omogeneo. Un altro dei lavori di cui vado fiera è “Royal Burlesque”, dove ho fotografato le performance di burlesque di Lady Flo (F), Janet Fischietto (I), Dolly Lamour (I) ed Annette Kellow (UK) durante il Summer Jamboree Festival di Senigallia. In questo caso uno degli aspetti migliori delle immagini è il grande contrasto tra lo sfondo scuro, ed i colori intensi e scintillanti degli abiti da scena, con il rosso come predominante assoluto.

 

Reportage, street photograpy, paesaggi. Ha ancora senso parlare di generi fotografici?

Ha senso parlarne purché non li si consideri compartimenti stagni. I generi sono punti di rifermento, ti aiutano ad orientarti nelle mille possibilità che ci sono dietro ad uno scatto fotografico, ma credo sia fondamentale non sentirsi costretti a rispettarli. La sperimentazione è fondamentale in fotografia. Conoscere le regole per poi modificarle a proprio piacimento, secondo necessità, credo sia la scelta migliore.

 

Nel nostro mondo digitale si condivide tutto, anche la fotografia. I social network come Twitter o Facebook aiutano? Che cosa ne pensi?

I social network aiutano certamente a farsi pubblicità. Facebook e altri social web creano una rete di conoscenze, una velocità di condivisione delle informazioni e una circolazione potenziale del proprio lavoro impensabile fino a pochi anni fa. Il rovescio della medaglia è che una foto caricata in rete non gode più di copyright, e che sicuramente la quantità industriale di immagini che vengono caricate sul web divorano progetti molto validi. L’atteggiamento migliore sta nello sfruttarne al massimo le potenzialità con un uso intelligente.

Hai frequentato un corso fotografico? Come lo hai scelto?

Ho frequentato un breve corso introduttivo, ma sono principalmente autodidatta. Ho letto diversi libri e manuali, e internet aiuta molto a risolvere i dubbi, grazie ai numerosi forum, tutorial, e spazi dedicati. A breve, ho intenzione di seguire un corso più specifico.

Come vive la fotografia un giovane come te?

Come un obiettivo. È la mia passione più grande ed ovviamente spero un giorno di poter farne il mio lavoro. Poi c'è la crisi, che si fa sentire ancora più forte negli ambiti artistici e nella fotografia di stock o giornalistica, il che è demoralizzante. Di certo so solo che se anche non dovessi riuscire a lavorare nell'ambito fotografico e della comunicazione visiva, non abbandonerò la macchina fotografica.

C’è un grande fotografo che ti piace in modo particolare?

Sono dell'idea che ogni volta che entri in contatto con il lavoro di un grande fotografo il suo punto di vista ti lasca un segno. Tra i vari progetti che la mia mente macina, difatti, c'è anche la creazione di un blog dedicato alle fotografie di fama mondiale che hanno lasciato un segno nella storia della comunicazione visiva. L'idea mi è venuta dopo aver sostenuto l'esame di Storia e critica della fotografia all'università. Approfondire questo tema mi ha stimolato molto, così ho deciso di continuare, documentandomi attraversi libri, documentari, raccolte e mostre.

 

Prossimi obiettivi?

Tendenzialmente infiniti. Sono sempre entusiasta di fronte a proposte di collaborazioni e progetti, e vedo troppa incertezza nel futuro più prossimo per poter capire quanti dei sogni che ho sono realmente realizzabili. L'obiettivo finale resta sempre finalizzare la mia passione per la fotografia in un lavoro.

© Foto-Review.it – 2012 - Cristina Chiarotti